Preoccupazioni e sottolineature diverse da parte di alcuni vescovi alla vigilia della XVI Assemblea generale
La paura del «cambiamento»
Mentre si stanno mettendo a punto varie iniziative per l’apertura dell’Assemblea sinodale – la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione» (Roma, 4-29 ottobre) – e in particolare una veglia ecumenica, è interessante registrare come diversi vescovi stanno dando una lettura dell’assise su cui tanto si è lavorato in questi ultimi due anni, da quando nel 2021 è stato ufficialmente aperta dal papa e sin qui celebrata con le consultazioni parrocchiali, diocesane, nazionali e continentali.
Stante la comune preoccupazione sui toni della discussione non solo interna all’aula sinodale che – come ha ribadito Francesco nella consueta conferenza stampa in aereo di ritorno dal viaggio in Mongolia – sarà a porte chiuse, ma anche esterna, rispetto a ciò che se ne racconterà, il papa (come abbiamo tematizzato qui) ha chiesto aiuto ai giornalisti.
La preoccupazione di una discussione polarizzante è reale. Specie in ambito anglofono, dove sono all’opera associazioni che stanno facendo massicce campagne contro il «cambiamento».
Il Sinodo, strumento della tradizione
Tiene presente questo sfondo il cardinale di Chicago, Blaise Cupich, quando nella breve lettera alla diocesi del 30 agosto scorso dice a quanti temono che il Sinodo «modificherà radicalmente l’insegnamento e la pratica della Chiesa, allineando entrambi con le idee secolari e provocando uno scisma», che non c’è motivo di avere «paura».
Il Sinodo infatti ha come «domanda principale» quella sul come rimanere «fedeli al piano di Cristo per la Chiesa», secondo quanto già pensava Giovanni Paolo II. Ed è lo strumento, per altro non nuovo nella storia della Chiesa, per raggiungere quell’obiettivo.
Mette poi in guardia quanti volutamente «travisano totalmente l’obiettivo del sinodo sulla sinodalità» con atteggiamenti partigiani e apocalittici e si rivolge loro usando lo stesso epiteto di Giovanni XXIII, «profeti di sventura»: vennero chiamati così nell’allocuzione d’apertura del Vaticano II coloro che si opponevano alla celebrazione stessa del Concilio.
Sulla polarizzazione
Certo la pubblicazione del dialogo del papa con i gesuiti portoghesi avvenuto nel corso del viaggio per la Giornata mondiale della gioventù lo scorso agosto (cf. qui), che contiene un giudizio molto netto sulla polarizzazione della Chiesa statunitense, ha contribuito a mettere in primo piano questa divisione.
Vi torna anche il nunzio apostolico negli Stati Uniti (nonché futuro cardinale), Christophe Pierre, che in un’intervista a Vatican news amplia la prospettiva affermando che la polarizzazione è purtroppo una caratteristica sociale diffusa, dove le persone in nome di un’idea perdono di vista il motivo concreto della discussione: «La polarizzazione nella Chiesa è un pericolo perché può uccidere anche la Chiesa, e la allontana molto da ciò che dovrebbe essere. Anche se le persone non condividono la tua idea, non sono tuoi nemici. Ed è per questo che il santo padre ha (…) lanciato questa idea di sinodalità, per camminare insieme attraverso il metodo del dialogo, dell’ascolto, del discernimento e anche dell’ascolto dello Spirito Santo».
Maggiore o minore fiducia
D’altra parte, se vi è chi continua a diffondere l’idea «che il papa sia stato eletto solo per distruggere la Chiesa e per distruggere la bellezza della Chiesa», il dialogo diventa impossibile. Ma complessivamente mons. Pierre si dice fiducioso rispetto al Sinodo: «Penso che funzionerà. È un’impresa non da poco. Quando Giovanni XXIII ha lanciato il Vaticano II, è stata un’impresa. E se si vuole essere cristiani oggi, bisogna correre dei rischi».
Non altrettanto fiducioso è invece un altro esponente dell’area anglofona e segnatamente della Chiesa irlandese, l’arcivescovo (oggi emerito) di Dublino Diarmuid Martin, ma per un motivo opposto: perché teme che le aspettative che provengono anche dalla sua pur piccola ma vivace Chiesa locale non siano realizzate, in particolare sul tema della maggiore partecipazione delle donne; si è detto infatti «preoccupato» per il fatto che le tante consultazioni avviate nel popolo di Dio abbiano creato molte «aspettative» che però saranno quasi sicuramente «frustrate», almeno nel breve periodo.
Non dimenticate le Chiese orientali!
Infine, si esprime ufficialmente dalla sua sede «in esilio» di Erbil (Kurdistan iracheno) il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca dei caldei, con un testo su che cosa aspettarsi dal Sinodo: «In un tempo di instabilità, di difficoltà incontrate dalla cultura attuale in questioni difficili, e in particolare di predominio del liberalismo secolare, la Chiesa, madre e maestra, e il papa successore di Pietro, roccia su cui poggia la Chiesa e che garantisce la sua unità, deve avvalersi della sua autorità magistriale nel processo di autorinnovamento e delle sue strutture con piena convinzione, conservando fedelmente il deposito della fede e della morale di base. Occorre distinguere tra ciò che è reale ed esprimere lo spirito che non si può abbandonare, e ciò che è immediato-pratico legato alle condizioni del tempo e dello spazio, che va aggiornato».
E dopo aver ricordato che «le speranze dei fedeli cristiani attendono un nuovo orizzonte aperto dal cammino sinodale nella vita della Chiesa», si augura che il Sinodo abbia «un’attenzione particolare alle Chiese orientali, culla del cristianesimo, che sono minacciate nella propria esistenza!».

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice Attualità per “Il Regno”