Per cominciare a contestualizzare il «percorso di cultura politica» che Il Regno e la Comunità di Camaldoli propongono quest’anno (5-8 ottobre) proponiamo qui su Re-blog, in due parti, un testo introduttivo del direttore della nostra rivista, Gianfranco Brunelli. Di seguito la prima parte.

Le categorie del cattolicesimo politico

Si torna a parlare di «questione cattolica». Stancamente. Con le categorie proprie della lunga e positiva stagione del cattolicesimo politico. Quella stagione si è conclusa con la fine della Democrazia cristiana (DC). Quel mondo non c’è più.

Continuare a usare le categorie del cattolicesimo politico non aiuta a impostare la nuova «questione cattolica». Chiedersi dell’insignificanza dei cattolici in politica oggi significa aver perso di vista il quadro della situazione.

La fine della DC ha cambiato molte cose. Dopo la forma politica che la DC aveva impresso alla nostra democrazia anche le relazioni tra i cattolici e il paese, tra la Chiesa e il paese sono tornate a essere una questione generale.

C’è stato un passaggio nella lunga transizione chiamata «Seconda Repubblica» che avrebbe potuto mantenere viva la partecipazione diretta e pubblicamente argomentata dei cattolici alla politica.

 

Il fallimento della transizione

Ma si trattava di una presenza che poteva avvenire (come accadde nelle elezioni del 1996 e in forma minore in quelle del 2006), nella forma del bipolarismo. Il fallimento dell’idea dell’Ulivo e il fallimento berlusconiano hanno definitivamente cancellato quelle possibilità, assieme al bipolarismo.

I cattolici allora presenti metà nell’uno e metà nell’altro schieramento avrebbero ancora garantito una significativa rilevanza, un peso rinnovato nella politica italiana. Il mancato superamento del post-comunismo e del post-fascismo, che ha contrassegnato il fallimento della transizione e di cui i soggetti politici portano la responsabilità, e il contributo disfunzionale della Chiesa italiana hanno escluso quella possibilità. Oggi ci troviamo di fronte a una nuova «questione cattolica», la terza, che si pone oltre il cattolicesimo politico.

 

Il tempo di Cavour…

La prima «questione cattolica», quella dell’Ottocento, coincise con il tema del rapporto stato/Chiesa e aveva come oggetto la ridefinizione dei poteri dentro l’ordinamento dello Stato che era stato sino a quel momento comune. Con il «libera Chiesa in libero Stato», Cavour si proponeva una ridefinizione dell’ordinamento. Una questione istituzionale, alla quale si aggiungeva, su un piano culturale e sociale, la rappresentanza della stragrande maggioranza della popolazione italiana (il «paese reale»), in capo alla Chiesa, rispetto al «paese legale» raccolto nello Stato. La questione di allora si poneva come tentativo di soluzione del processo di separazione di massa dei cattolici dallo Stato. Come sappiamo quel processo fu lungo e faticoso, con tentativi avanzati, come quello sturziano, che naufragarono, fino al Concordato del 1929.

Nel frattempo era già partita una seconda «questione cattolica», che corrispondeva a quella che potremmo chiamare la «questione laicale», cioè al significato e alla modalità della presenza dei laici cattolici dentro la Chiesa e dentro al regime divenuto democratico. Dopo il fallimento del Partito popolare di Sturzo, il tentativo degasperiano con la DC diede una risposta che resse a lungo.

 

…e quello della Democrazia cristiana 

La nuova collocazione, attraverso l’esperimento politico del partito della Democrazia cristiana e il vincolo dell’unità politica dei cattolici, rispondeva a più criteri.

La Chiesa riconosceva il valore della democrazia, lo stato democratico e le sue regole, ma da un lato si tutelava affidando alla DC il compito di rappresentarne e salvaguardarne i diritti, dall’altro attraverso lo strumento democristiano essa stessa forniva,, nella disgregazione delle istituzioni e della società uscita dal fascismo e dalla guerra, un supporto di «umanesimo integrale», alternativo all’ideologia comunista. L’accento pubblico era posto, per così dire, dal lato «dell’etica della responsabilità», mediata nel (e dal) partito, mentre «l’etica della convinzione» era lasciata ai luoghi della formazione, in genere le parrocchie e l’associazionismo, e gestita soggettivamente. Questa forma, mentre rinnovava la presenza e la forza del «mondo cattolico» – quell’insieme multiforme di organizzazioni e di espressioni sociali, costruite attorno alla Chiesa come sua riserva e protezione, mondane perché laicali e cattoliche perché confessionali – esprimeva il punto più alto di modernità. Sul versante politico e su quello laicale.

 

 

(fine prima parte)

Gianfranco Brunelli

Direttore de “Il Regno”

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